La crisi che stiamo vivendo ha mostrato l’evidenza di una serie di questioni dirimenti che il terzo settore si porta dietro da anni. Con uno sguardo sistemico, le possiamo incorniciare in due ambiti combacianti: il senso (e il coraggio) dell’innovazione, e la consapevolezza del tempo e del suo uso quando progettiamo e cambiamo.
La prima questione, il senso dell’innovazione, è legata al valore di efficacia che si è veramente dato all’innovazione in passato e a quale valore gli possiamo dare nel tempo prossimo.
Se è vero che la reazione del terzo settore alla crisi in atto è stata quella di accelerare il funzionamento dei servizi di comunità e di saper progettare subito e con efficacia, è altrettanto vero che abbiamo così sancito che innovare non è più un’opzione per il tempo che viene, ma è quanto mai necessario per resistere alla crisi e affrontare i cambiamenti in atto.
Ma, al di là degli strumenti messi in campo per investire e della pubblicizzazione di intenti, che valore abbiamo di fatto dato finora all’innovazione?
Anche se l’abbiamo sempre pensata come fattore strategico (per i servizi, raramente per le organizzazioni), di fatto l’innovazione è stata finora un investimento teso a settorializzarsi più che a permeare le organizzazioni e a creare ecosistemi. Insomma: era per lo più un esperimento di una parte dell’organizzazione, fatto da alcuni team interni e dedicato ad alcuni settori o piccoli servizi. Sono poche le imprese sociali che l’hanno usata come leva di sviluppo organizzativa, inserendosi o creando ecosistemi atti a sostenerla . Ebbene, quelle imprese sono oggi quelle che hanno risposto meglio alle sfide in atto e che si stanno interrogando sin da ora su come gestire il prossimo cambiamento richiesto. Quelle imprese hanno capito che l’innovazione in tempo di crisi non è una parentesi da chiudere o da ridurre aspettando i tempi della “normalità”, bensì è uno dei fattori principali attraverso cui costruire le risposte per l’uscita dalla crisi.
Cosa implica questo cambio di prospettiva temporale nel riprogettarsi?
La seconda questione, la consapevolezza del tempo, è legata a come concepiamo il tempo quando progettiamo. Fare i conti con il tempo vuol dire scegliere con quale atteggiamento si affronta questo periodo di profondo cambiamento. Se vediamo il tempo come “kronos” continuiamo a guardare al tempo come al succedersi lineare per cui esiste una fase di emergenza e una fase 2 in cui ci occuperemo di ricostruzione. Se invece guardiamo al tempo come kairos possiamo sviluppare un atteggiamento consapevole di attesa e attenzione in cui le fasi temporali lineari si annullano e ci permettono di ragionare di un futuro rivolto al presente – al contrario di un atteggiamento ora abbastanza diffuso in cui c’è un presente che aspetterebbe di rivolgersi al futuro per replicare quanto di conosciuto.
Implica il superamento di una serie di dicotomie come la questione “tempo di emergenza” (reagire, concentrare decisioni) e “tempo di ricostruzione” (aspettare futuri, dilazionare) per ritornare ad un “tempo di normalità (replicare)”: emergenza e cambiamento non possono essere messi in fila, ma occorre cominciare fin da subito ad occuparsi di entrambe le cose.
Implica anche chiamare in causa un orizzonte di tempo che non consideriamo mai ma cui dobbiamo affidarci: il tempo dell’ora come tempo opportuno (Kairos) dei cambiamenti da mettere in opera, agendo e facendo strategia contemporaneamente.
Le organizzazioni conoscono i tempi lunghi se sono piani o conoscono i tempi brevi della quotidianità – e questi tempi li vorrebbero sintonizzati, anche se non lo sono quasi mai. Il tempo opportuno è quello sufficiente a ristrutturarci con riflessioni e atti concreti. Insomma, è il tempo tipico dell’innovazione come azione aperta, che ci permette di mettere a sistema gli esperimenti del passato,le risorse tacite (saperi e competenze dei soci, punti di innesto su reti mai attivate a pieno) e di riconfigurare il campo costruendo scenari futuri che man mano cambieremo in base a quello che apprenderemo.
Quanto il terzo settore riuscirà a utilizzare le risorse a disposizione, le competenze (e i limiti) ricombinandole in una maniera utile e usando il tempo opportunamente?
Dopo un mese di condivisione di tattiche quotidiane di resistenza (le organizzazioni che riprogettano servizi a distanza, i servizi domiciliari rivoluzionati, il lavoro quotidiano che cambia, etc.) cresce lo smarrimento perché non si vede quali strategie adottare nel medio.
Più che dare le ricette dei cambiamenti, forse è il caso di indirizzarsi a quei fattori strategici che sono direzioni da giocarsi calandoli nelle pratiche progettuali e nelle revisioni organizzative che le organizzazioni si apprestano a vivere in questa fase.
Serve quindi prototipare e innovare rapidamente (dare risposta nel tempo dell’emergenza) e contemporaneamente alzare lo sguardo per costruire scenari futuri dai quali far derivare strategie possibili (cogliere il tempo opportuno).
Serve costringerci a ragionare sul modo in cui ci rivolgiamo al futuro nella sua dimensione culturale ossia attraverso le rappresentazioni, l’immaginario e la definizione temporale dell’agire ma anche fattuale ossia quella dimensione in cui è il futuro ad essere radicato nel presente perché già implicato nelle scelte e nelle azioni odierne.
A cura di: Francesca Battistoni e Nico Cattapan
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